Altropasso e il Grand tour enogastronomico sul Sentiero Italia CAI
La tappa in Aspromonte
Un viaggio a piedi tra bergamotto e stoccafisso
Dopo la prima tappa in Sicilia, il Grand Tour Enogastronomico sul Sentiero Italia CAI di Irene Pellegrini e Barbara Gizzi risale la penisola e approda in Calabria, alla scoperta del profumo del bergamotto e dei sapori dello stoccafisso. Di seguito il racconto delle protagoniste di questo viaggio a piedi sulle tracce della storia culinaria del nostro Paese lungo il Sentiero Italia CAI.
«Nel destro lato è Scilla; nel sinistro / È l’ingorda Cariddi. Una vorago / D’un gran baratro è questa, che tre volte / I vasti flutti rigirando assorbe, / E tre volte a vicenda li ributta / Con immenso bollor fino a le stelle.»
(Virgilio, Eneide)
Arrivando a Reggio Calabria, la prima cosa che si nota è la Sicilia. Avvicinando Reggio in treno si ha l’impressione che quell’ultima striscia protesa di continente voglia quasi ricongiungersi con l’isola più grande del mediterraneo dalla quale dista, fra Scilla e Cariddi (Punta Pellaro – Capo d’Alì), poco più di 3 km. L’occhiata istintiva del viaggiatore coglie quella contiguità storica, geografica, culturale, mitologica, economica, gastronomica e non ultima geologica che contraddistingue la storia di queste due terre che rappresentano la sintesi perfetta del concetto stesso di identità: l’uno non esiste senza la rappresentazione ‘riflessa’ dallo ‘specchio’ dell’altro da sé, dello straniero. E così, anche la storia dell’agrume di cui andiamo cercando le tracce, il bergamotto parte dalle sponde dello stretto e in differenti dialetti e lingue straniere, fa il giro del mondo.
Il nostro viaggio inizia dalle parole di un romanziere e viaggiatore francese, Renè Bazin che nel 1984 attraversa in barca lo stretto: “Se Reggio sembra assai vicina quando la si guarda da Messina, ci vuole un’ora quasi per raggiungerla” (Dal frutto al mito, Il bergamotto di Reggio Calbria, Città del Sole edizioni, 2016”. E continua sui sentieri aperti alla conoscenza del mondo e della geografia dal pioniere del viaggio a piedi in queste terre: il vignettista inglese Edward Lear. Lui viaggiò in compagnia di un amico, di una guida locale e di un mulo, per il trasporto dei bagagli, fra l’Agosto e il Settembre del 1847. Noi, affidando solo alle nostre spalle il peso dei bagagli e potendo dedicare, da contemporanee di un mondo troppo veloce, solo dieci giorni al nostro itinerario, abbiamo camminato seguendo i suoi passi: da Melito di Porto Salvo verso Pentedattilo, Bagaladi, Amendolea di Condofuri, Gallicianò, Bova, San Luca, Zervò, Zomaro, Canolo e abbiamo concluso la traversata a Mammola dove è stato lo stoccafisso – a cui dedicheremo un capitolo del libro che seguirà il Grand Tour – il protagonista del nostro viaggio gastronomico.
L’itinerario ha interessato il sentiero escursionistico che a Lear si è ispirato, ‘il sentiero dell’inglese’ e, naturalmente, il Sentiero Italia CAI che da San Luca fino a Mammola ci ha riportato sul crinale di quell’Aspromonte che, nel momento in cui scriviamo (agosto, 2021) è avvolto dalle fiamme dolose di un incendio infernale.
Mentre pensiamo all’itinerario a tappe descritto poco sopra, rivediamo nitidamente i volti di chi ci ha accolto, ospitato, ha cucinato per noi e ci ha aiutato a capire qualcosa della terra in cui vive, anche solo una pietruzza al confronto dei monoliti giganti d’Aspromonte, come quella pietra Cappa di cui nostri passi hanno disegnato il profilo, guidati da esperte guide locali. L’esplorazione in Aspromonte, inoltre, non sarebbe stata altrettanto efficace senza il racconto di chi iniziò negli anni ‘80 con la rivoluzionaria idea di camminare in quei luoghi: Alfonso Picone Chiodo.
A lui e all’associazione ‘gente in aspromonte’ è legata, come racconteremo, la storia stessa del Sentiero Italia Cai in queste terre.
Quando dopo circa cento chilometri a piedi, tanti dei quali sotto il sole, in salita, ripartiamo dalla Calabria ci rendiamo conto che per il nostro libro potremmo scrivere certamente di cibo – che durante il nostro viaggio ha abbondato (dunque sono davvero altri tempi rispetto a quelli in cui Corrado Alvaro, di cui abbiamo visto la casa natale a San Luca, scriveva di fame e di forzata emigrazione) ma anche e soprattutto di accoglienza e ospitalità che non è soltanto, come da quelle parti amano ricordare, ‘quella della Grecia antica’ ma piuttosto quella contemporanea di un popolo che ha voglia di riscatto, maltrattato dalla storia, dall’incuria, dall’avidità umana, nonchè, tra terremoti e alluvioni, dalla forza della natura. E’ per questo un popolo abituato a mischiarsi e a viaggiare, che ha fatto delle grandi migrazioni e dei ritorni la cifra stessa della sua identità frastagliata.
Prima di partire per il nostro viaggio a piedi, la città metropolitana di Reggio ci è stata raccontata attraverso gli usi alimentari del bergamotto dallo chef Filippo Cogliandro. La sua storia, riassunta al meglio dalla sua squadra di cuochi africani è una storia di inclusione gastronomica ma soprattutto sociale e di lotta tenace contro le ingiustizie e i soprusi della malavita organizzata. Insieme a lui il gelato dei gelati al bergamotto, quello di Davide De Stefano, da generazioni proprietario del chiosco ‘Cesare’ sul lungomare battezzato da D’Annunzio il km più bello d’Italia. Del Bergamotto abbiamo poi parlato, raggiungendolo ad Amendolea, con Ugo Sergi.

Prima, a Pentedattilo, Rossella ci ha offerto un assaggio della sua cucina, ma soprattutto della sua tenacia. Nel deserto di Pentedattilo, dove durante i lunghi mesi estivi l’acqua manca spesso anche nelle poche case del borgo antico, Rossella, arrivata anni fa in Calabria dalla provincia di Viterbo, ancora resiste con le sue capre e il suo terreno a fare un pò di formaggio; sfida il caldo davanti al forno al legna sfornando il suo pane e la sua pizza. Nella sua cucina, non c’è posto per inutili suppellettili: sughi, marmellate, conserve, riempiono gli scaffali e rassicurano l’ospite affamato.

A Bova dai gemelli Mimmo e Nino Mesiano abbiamo scoperto la Lestopitta, che, parola di derivazione greca, significa pane sottile e costituisce un altro esempio di contaminazione culturale e culinaria di questa terra. A Mammola, invece, è stato Nunzio Pisano a darci la possibilità di scoprire i segreti della lavorazione del pesce stocco e della storia del paese dove è tornato, come tanti prima e dopo di lui, dopo anni all’estero. Sono queste alcune delle storie che saranno raccontate approfonditamente nel libro che seguirà il Grand Tour.

Quando partiamo per la Campania (approdo successivo del nostro Grand Tour), siamo un pò meno straniere di quando siamo arrivate; l’impressione è quella di aver esplorato un mondo lontano, molto diverso da quella Toscana in cui viviamo e, per certi aspetti, ‘più lontano’ della Sicilia appena lasciata. Tuttavia, in qualche modo, grazie alla capacità, di cui il cibo è sicuramente un mezzo fantastico, di raccontarsi e di aprirsi, questa terra è riuscita a farsi scoprire e anche se per un breve momento, sentiamo di farne parte.


Testo di Irene Pellegrini, foto credits Altropasso