Dopo una giornata in montagna, lungo il Sentiero Italia CAI, cosa c’è di meglio di un piatto caldo di polenta? Un cibo che è tra i più diffusi in Italia ed è tra i più amati nelle zone di montagna. Principe delle serate fredde nei rifugi. La polenta scalda il corpo e rigenera dalle fatiche della giornata. Un cibo povero, che oggi tenta di farsi gourmet. Esiste anche un’associazione nazionale, “polentari d’Italia”, nata nel 1993 a Latina.

Polenta, come condirla

polenta e spezzatino

Sebastiano Arcai, presidente dell’Associazione culturale Polentari d’Italia, è sardo e ci spiega quanto sia diffusa la polenta: un piatto che si può incontrare ovunque anche lungo il Sentiero Italia CAI. Una pietanza diffusa in Sardegna, con i coloni veneti che la portarono quando vennero a popolare nuovi paesi creati nel ventennio. Ma anche in Sicilia, lungo le pendici dell’Etna (leggi l’articolo su questa meraviglia), e poi ancora sull’Appennino Tosco-emiliano e su tutto l’arco alpino.

“La polenta si ottiene dalla farina di mais – spiega il presidente -. Si sgrana, si pulisce, si trasforma in farina. Una farina che viene buttata nell’acqua, insieme al sale, e viene girata con un cucchiaio per quaranta-cinquanta minuti, evitando che si creino grumi. Questa semplicissima ricetta unisce quasi tutti i polentari, quello che cambia sono i condimenti”.

L’elenco dei condimenti è lunghissimo. In Piemonte c’è la tradizione del baccalà fritto. In Veneto c’è lo stoccafisso. Si usa molto la luganega (tipica salsiccia) in Lombardia e il ragù sull’Appennino Tosco-emiliano. In Veneto c’è la polenta condita con carne di ‘musso’, asino. “In montagna si usa meno spesso il sugo di pomodoro rispetto alla valle – spiega il vicepresidente dell’Associazione Angelo Brenzan –. Sulle Alpi ho assaggiato per esempio della buonissima polenta con i funghi”.

Discorso a parte merita la polenta Taragna, diffusa in provincia di Bergamo. “Si fa in farina integrale, è più rossa, più gustosa, conserva l’olio e le scagliette, risulta più ruvida, la condisco con un ottimo arrosto”, spiega Brenzan. Aggiunge Arcai: “Io l’ho mangiata accompagnata a squisito formaggio locale”.

Tagliata in listelli, con forma di patatine, viene anche fritta. Allo stesso tempo, si possono fare le lasagne di polenta, posizionandola tra uno strato di condimento e l’altro”, continua il presidente. “In Trentino Alto Adige c’è poi una tradizione diversa, c’è chi fa la polenta non con il mais, ma con le patate. Esaltata da una buonissima salsiccia fresca. La famiglia della polenta è davvero vasta, variegata”.

Nella cultura

La polenta è entrata a far parte anche della letteratura, grazie ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, che celebrano il piatto:

“La madre, un fratello, la moglie di Tonio, erano a tavola; e tre o quattro ragazzetti, ritti accanto al babbo, stavano aspettando, con gli occhi fissi al paiolo, che venisse il momento di scodellare. Ma non c’era quell’allegria che la vista del desinare sol pur dare a chi se l’è meritato con la fatica. La mole della polenta era in ragion dell’annata, e non del numero e della buona voglia de’ commensali: e ognun d’essi, fissando, con uno sguardo bieco d’amor rabbioso, la vivanda comune, pareva pensare alla porzione d’appetito che le doveva sopravvivere. Mentre Renzo barattava i saluti con la famiglia, Tonio scodellò la polenta sulla tafferìa di faggio, che stava apparecchiata a riceverla: e parve una piccola luna, in un gran cerchio di vapori” (I promessi sposi, Alessandro Manzoni, capitolo VI)

Il valore sociale

Polenta in preparazione

Il valore sociale dell’alimento è sempre stato altissimo, come spiega Brenzan: “Il mais, che venne definito erroneamente grano turco, arrivò dall’America nella Repubblica Veneta nel cinquecento. Secondo il professor Giovanni Beggio la prima semina fu fatta nel 1554. Dal 1600 iniziò a spopolare. La polenta divenne l’alimento con cui furono sfamate le masse contadine della Padania per generazioni. Tanto è vero che l’abuso di questo cibo favorì la diffusione della pellagra. Era un piatto fondamentale per le masse lavoratrici e i ceti proletari del nord. Insostituibile perché costava meno del pane, lo si inzuppava perfino nel latte”.

Valore sociale che il piatto non ha perso: “Una ricetta che unisce, crea festa, ‘assembramento’. Rende felici. Ovviamente questo è un anno difficile, dove queste cose sono state messe da parte. La polenta però ha un valore sociale importante anche perché sono tanti gli eventi di solidarietà organizzati anche dalla nostra associazione, che ci hanno permesso di raccogliere soldi per l’Africa per esempio”, conclude con orgoglio Arcai.

 

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